Carlo Caruso
Opera 1^ classificata
Le dita del cuore
Un bastone bianco interrogava
i passi del non vedente,
battendo, scrutando dentro anfratti vuoti
e poi ritrovando rassicuranti muri
che camminavano diritti.
In quei penosi tentativi c’era
una strana profondità, la ricerca
di una verità tangibile
ignota al banale giudizio della vista,
che si abbandona sicura
ai miraggi dell’esistenza
che vede e crede e presume
e poi piange
come un bambino capriccioso
per una promessa non mantenuta.
Io che, cieco d’ignoranza, mi gettavo
dietro ai fantasmi delle parole e dei progetti
ora impugno il mio bastone bianco
e chiedo a te, amico mio non vedente,
maestro di tattili verità corpose e dure,
d’indicarmi l’onesta via della Notte;
dove le dita del cuore assaporano
L’Invisibile corpo della Verità.
Fulvia Marconi
Opera 2^ classificata
Un giardino… la notte
Ricordo silenzioso quel giardino,
color d’opale al chiaro della luna,
la fontanella al centro mormorava,
la dolce cantilena d’amabil quiete.
Speranze e sogni, scoramenti e dubbi,
han popolato quei vialetti ombrosi,
tanto che sento palpitar nell’aria
come carezze le promesse avute.
Solo, seduto, sulla panchina sola,
che come me anèla a compagnia,
presto distratto orecchio al vecchio gufo,
che par fiutar la mia malinconia.
Triste giardino complice d’amore,
tu che donavi al vento quegli odori,
di mirto, rosaspina e genzianella,
non impedirmi di andare via.
Ricordo quei sussurri fra le foglie,
di angeli, di grilli e di cicale,
amiche fate a farmi compagnia,
nel tenero languir d’un cuore amante!
Come sei caro tu, a questo cuore,
buio giardino che mi vedesti lieto,
quando con i sogni io giocavo
e a mille le speranze rincorrevo.
Apri le braccia o buio della notte,
apri il cancello, giardino solitario,
accoglimi ancor per un momento
in quel miraggio in cui io ho creduto.
Stefano Tonelli
Opera 3^ classificata
Consolazione
Quando mi sento morir dentro
e si strozza persino il respiro e la voce
e le lacrime non trovano la loro via,
mi consolo con questi giri di parole
talvolta vane, sognatrici o dolorose,
ciò che l’animo mio dalla cupa pozza
mi dona pur sotto la grave mole
di pensieri ritorti e oscuri, e tuttavia
bramosi anche loro di un po’ di sole.
A loro e a me ne viene un po’ di luce.
È nulla per chi vive di viva vita,
è tutto per chi ogni giorno muore di truce
ferita, condannato a una perenne salita.
Italo Corti
Opera 4^ classificata
La lettera
Fascino della busta,
mistero di un timbro indecifrabile,
un francobollo che suscita fantasie.
Piccola o grande,
sempre un’emozione aprirla:
circospezione, indugio,
sperando nello scritto
dei tuoi sogni.
Un foglio, più fogli,
calligrafie sicure o incerte,
notizie attese od impreviste,
ma sempre il desiderio
di leggere lentamente
per vivere un legame,
per riscaldare sentimenti sopiti
o per condividere gioie, dolori e affanni.
Sorprese, conferme, scoperte.
Un fascino infinito.
Ora algidi display,
dove anche le parole d’amore
si raffreddano
nella luce e nei caratteri asettici
di ripetuti messaggini
che invadono improvvisi
la tua intimità.
Addio cara, vecchia lettera:
un giorno qualcuno, forse,
ti rimpiangerà.
Sergio Balestra
Opera 5^ classificata
I calli nella voce
A lungo i tuoi antenati
le viscere del monte hanno squassato,
in miniere d’argento
dove giorno e notte non han confini.
Ai Prìncipi lontani e per il Conte
bisacce di fiorini.
Ai minatori, un tarlo nei polmoni,
fame restò, brama di cielo e vento.
Da sempre anche i tuoi nonni
la vanga hanno impugnato,
col piccone, la zappa ed il badile
campi magri e sterpaglie han dissodato,
dall’alba al tramonto, con l’afa o il gelo.
Poi, furono assegnati ad un fucile,
stranieri in terra ostile.
Per chi tornò, miseria e smarrimento.
Per anni tuo padre e i suoi fratelli
con l’ascia e col segone
i boschi hanno tagliato.
A terra si dormiva, sulle foglie
ed il legname a mano si mondava.
La teleferica greve di tronchi,
il cavo d’acciaio, teso, scattava…
i meno accorti son rimasti monchi.
Ragazzo, oggi discuti nelle Corti
del Sapere di quel passato atroce.
Tesi pacata, dotta. E fiero porti
i calli dei tuoi vecchi nella voce.
Giovanna Gioioso
Opera 6^ classificata
Una favola d’amore
Basta poco per scrivere una favola:
un fauno e una ninfa,
un bosco incantato,
una musica di danze…
Basta poco per parlare d’amore:
una panchina di sera,
un fiore di montagna,
un cuore per cuscino,
un raggio che acceca
e una fonte che ristora.
Ma le favole non si avverano
se chi parla d’amore
ha paura di amare.
Anna Maria Cardillo
Opera 7^ classificata
Maternità
Nel momento in cui
fuori t’ho spinto dal mio grembo
e, nel dolore, ti donai alla vita,
figlio,
cominciasti a lasciarmi
per la prima di mille altre volte,
il tempo rivendicando per te
e, passo dopo passo,
solo tua, una strada
da camminare da solo.
Alla porta di casa
sorrido e ti accompagno:
carezze ho ripiegato
tra i panni nelle tue valigie,
nuda la scansia dei tuoi libri,
disfatto il letto e sottosopra il cuore,
per te che nuovamente
lasci il mio grembo e te ne vai
(stesso dolore sordo
che ti prende alla gola
e inutilmente uguale).
Rimane qui soltanto
la cesta dei tuoi giochi,
dove tua madre di nascosto
tornerà a cercarti,
cullando nostalgie.
Carla Noro
Opera 8^ classificata
Cartolina di Natale
Ridatemi il mio freddo
i fossi gelati
la brina che la terra ricopre
i cristalli di gelo ai vetri
i piedi infreddoliti
le calze di lana che prude
l’abito dimesso da altri più grandi
i giochi sotto il tabarro che odora di fumo
pipistrello gigante appeso al muro
lo scialle di ruvida lana
su spalle ricurve di fatica e silenzi
il legno acerbo sul camino
che geme che sputa che a stento arde
e le carrube in premio al bimbo buono
ridatemi le lunghe serate, le orazioni
i silenzi e i desideri così ben celati
la speranza che il giardino in lutto dorme solamente
e il richiamo della campana
che invita lesti ad andare.
Ridatemi tutto questo
ridatemi il mio Natale.
Giuseppe D’Uva Cifelli
Opera 9^ classificata
La fine dei giorni
Il giorno in cui molto più corto e incerto
il percorso diventa della vita,
che innanzi ti si para duro ed erto,
capisci che la corsa è ormai finita
ed, anche se pensare non ci vuoi,
sai che il traguardo è in fondo alla via.
Ed allora nulla tentar tu puoi
per evitare che quel ch’è scritto sia.
Vagando, con la mente, indietro torni
a riveder la vita già vissuta
e, mentre avanza la fine dei giorni,
la gioventù rimpiangi, ch’è perduta.
Se l’ultima meta incute paura
e in essa intravedi il ghigno del boia,
sappi ch’è dura legge di natura
che ogni nato, a un certo punto, muoia.
Ma se il tuo spirto oltre le stelle vede
e d’altra vita nutre la speranza,
continua a coltivare la tua fede
e non temere la fine che avanza.
Jolanda Serra
Opera 10^ classificata
La sedia a dondolo
La mia sedia a dondolo,
è la più intima amica
a lei racconto le speranze svanite
su di lei stendo i miei silenzi più cari.
La mia sedia a dondolo è il mio specchio
con lei son nata, con lei adesso invecchio;
il suo legno dal tempo consumato
è come il mio volto dalle rughe attraversato.
Siamo rimaste a dondolare da sole
in questo solitario giardino immenso
unico amico ci è il profumo delle viole
che più non rallegra il mio dolore intenso
Son tutti andati via
anche quello che m’amava più forte
lasciandomi come unica compagnia
l’abbraccio dolce dell’amica morte.
Su questa mia sedia a dondolo, lo so,
lei verrà presto e mi sorriderà
ed io tendendole le braccia le dirò:
sola son nata e sola vengo adesso
ho trascorso tutta la mia vita
pagando sempre ad ogni partita;
son stata felice… a volte un po’ di più
ma adesso, morte, a dondolarmi;
sulla mia sedia, sola ci sei tu:
non immaginavo, ti giuro,
amica che mi porti oltre il confine,
che si potesse pianger tanto
se a morir si è soli senza affetti accanto!